02 Nov Pensiero di Padre Bernardo
Padre Bernardo, Abate di San Miniato al Monte ha diffuso questo profondo pensiero in occasione della ricorrenza di tutti i defunti.
2 Novembre – noi coi nostri morti – La percezione
(2 novembre: noi coi nostri morti ; riflessione di Padre Bernardo per Toscana oggi)
La percezione, permessa dalla fede e corroborata dalla speranza, della maggior tenacia del vincolo di comunione rispetto alla pur lacerante e irreparabile scissura inferta dalla morte alle nostre relazioni, ha trovato per secoli una significativa risoluzione architettonica e rituale nella consuetudine di seppellire i morti dentro e attorno le chiese.
In un unico luogo e in un unico movimento i credenti nel Signore Risorto sperimentavano la capacità dello Spirito Santo di trasfigurare le nostre angosce e la nostra nostalgica memoria in una speranza finalmente non deludente (Rom. 5,5) perché germogliata dai nostri stessi cuori resi fecondi dall’amore di Dio.
Di fatto solo la celebrazione di quel mistero di amore che ha portato Gesù a donare se stesso sulla croce e lo Spirito Santo a rompere il sigillo della cavità sepolcrale, restituisce ai nostri sensi fragili e smarriti e alla nostra coscienza impaurita l’umile forza con cui consegnarci al volto di Colui che pur crocifisso ha confidato nell’amore silenzioso, ma sempre vigile del Padre celeste.
Timothy Verdon ci ha aiutato a capire come questa consolante esperienza accadesse per esempio a chi entrava nella Chiesa di Santa Maria Novella dal suo antico ingresso, attraversando pertanto l’antico cimitero laterale per trovarsi di fronte agli occhi la composta, ma grandiosa celebrazione pasquale della Trinità di Masaccio. Il macabro e ormai celebre avvertimento dello scheletro di Adamo, «Io fui già quel che voi siete, e quel ch’io son, voi anco sarete», restava infatti schiacciato dalla sovrastante, affermazione che nel Cristo risorto ben altro destino dava pieno adempimento alla nostra condizione umana.
Il celebre Décret Impérial sur les Sépultures, emanato il 12 giugno 1804 da Napoleone a Saint-Cloud ed esteso al Regno d’Italia dall’editto Della Polizia Medica del 5 settembre 1806, introdusse con la forza del diritto nuove consuetudini la cui motivazione è tanto igienica quanto, in realtà, ideologica. Con la creazione di ampie zone poste fuori dai recinti urbani e destinate a diventare gli unici luoghi di sepoltura, peraltro non necessariamente correlati alla presenza di luoghi di culto, la modernità sperimenta una progressiva laicizzazione della morte e delle sue conseguenze sul significato e sulle estreme vicende della nostra corporeità.
Con più o meno espliciti riferimenti alla fede nel Signore morto in croce per la nostra salvezza, le nostre città iniziano a conoscere la creazione di una urbanistica se non alternativa quantomeno complementare alle strade, alle piazze e ai giardini: vere e proprie cittadelle della memoria diventano l’archivio epigrafico e visivo di biografie spezzate dalla morte, custodite da possenti pareti monumentali e protette da fossati di un grave silenzio appena valicabile e da folti filari di cipressi cupi e maestosi.
Inizia o perlomeno si rafforza la scissione fra la vita della nostra quotidianità e la presenza – perché tale di fatto continua ad essere – delle persone estinte dalla morte. La Chiesa, le chiese, per secoli con la ritualità geometrica ma vitale delle liturgie, erano riuscite a tenere assieme quanto la progressiva incapacità della modernità a vivere la morte nella luce della speranza ha l’urgenza di subordinare, rimuovere, confinare.
Il 2 novembre, alla scuola di quella orante e premurosa attenzione che la vita monastica ha custodito da sempre per la traccia lasciata in eredità ai vivi da chi ha vissuto l’umile ritmo claustrale di ogni settimana (perché la commemorazione dei defunti dopo Ognissanti è stupenda invenzione dei santi abati di Cluny!), è il giorno benedetto in cui la Chiesa non solo risveglia l’intelligenza di tutti a fare memoria di chi ci ha preceduto, ma soprattutto a riscoprire l’ineliminabile seppur provvisoria signoria della morte, il suo diritto ad avere ancora oggi uno spazio e un tempo in cui lasciare che i nostri cuori, inariditi dal dolore e più ancora dalla disillusione soffocante del nostro tempo, si fermino e si interroghino.
In mezzo a tombe, finalmente fiorite almeno per qualche ora dell’anno, la morte riconquisti la città e la sua gente e con il suo enigmatico silenzio lasci che l’uomo torni forse ad ascoltare quella parola di speranza e di salvezza che il Vangelo di Cristo ha sempre da proporre al nostro inquieto e ramingo incedere su questa terra.
Bernardo Francesco GIANNI